Felici, senza una ragione valida per esserlo.

Di solito aspetto la Befana per tornare da Roma visto che, qui a Barcellona, durante la prima settimana di gennaio si lavora poco e niente. La gente si riprende da un capodanno tutto sommato modesto (non hanno una gran tradizione per il capodanno da queste parti), e ci si prepara per il ritorno in ufficio dopo l’epifania. Di solito allungo fino al 7 per stare un po’ di più a casa con i miei, ma stavolta sono tornato in tutta fretta la sera del 2.

Avevo i miei buoni motivi. Il 5 si è giocato il derby tra la squadra del quartiere in cui vivo, l’Europa, e il Sant Andreu, compagine di un quartiere alla periferia di Barcellona. Si tratta di squadre che militano nella 3 divisione, la quarta serie dello stato spagnolo, in un torneo regionale che sfocia in playoff a livello statale. Poca roba, direte voi, ma il tifo non manca. Il derby tra Europa e Sant Andreu è definito da molti come il “vero” derby di Barcellona, visto che le due squadre hanno tifoserie sorprendentemente nutrite per questa categoria, e che sentono il derby molto più di quanto i tifosi del Barcellona e dell’Espanyol sentano il loro. E si, da quando quasi cinque anni fa il mio coinquilino Raphael mi portò alla mia prima partita dell’Europa, sono uno di loro.

E quindi il 5 mi sono svegliato presto, sono andato allo stadio per le 11, un’ora prima dell’inizio della partita, ho aiutato ad allestire gli striscioni, bevuto birra cantato e poi, mi sono visto il derby. Ero tornato da Roma espressamente per quello. Come è finita? Benissimo. Abbiamo perso 2-0 in casa. Ma è andata bene lo stesso. Dopo anni di lavoro di promozione di questa realtà di calcio popolare ci siamo trovati in più di 3000 allo stadio, con una curva piena che non ha smesso mai di cantare, anche quando i nostri sul campo si sono arresi al rigore sbagliato dal capitano, al primo gol su papera del nostro portiere e al fulminante 0 – 2 su contropiede a cinque minuti dalla fine. Non abbiamo smesso di cantare neanche dopo la partita, quando ci siamo spostati al centro sociale del quartiere per mettere musica e continuare a stappare birre. Io non mi sono fermato fino alle nove, quando mi sono trascinato al giapponese sotto casa per prendere da mangiare per me e per Miriam. Qualcuno di loro non ha smesso fino alle 3 di notte, ma sono giovani e non hanno ancora nessuno da sfamare. La frase che descrive meglio il tutto me l’ha detta Ramon, urlandomela nell’orecchio come si fa per farsi sentire quando c’è la musica alta, mentre finivo l’ennesima birra: “imagina’t si haguéssim guanyat”, “pensa se avessimo vinto”. Probabilmente ci avrebbero trovato appesi ai balconi della Virreina a lanciare lattine vuote in testa ai turisti.

Che senso ha tutto questo? Che senso ha tornare prima da Roma, che senso ha appassionarsi a una squadretta di terza categoria di un quartiere che è tuo solo perché hai trovato un affitto decente, che senso ha festeggiare un derby perso in malo modo? Che senso ha?

Bisogna sempre diffidare delle persone che si autodefiniscono razionali, lo dico da sempre. In realtà sono degli ipocriti che tentano di nascondere il loro lato emotivo, facendoti credere che ogni loro affermazione, valutazione e decisione siano il frutto di ponderazione e buon senso, e che l’emotività non riesca mai a condizionarli. Non è vero, il cervello ha due lobi e gli esseri umani è così che funzionano. Raziocinio ed emozione, algoritmi e sentimenti che convivono nella stessa persona. E allora la risposta che quelle domande vanno cercando è semplice: non c’è, non c’è nessun cazzo di senso in tutto questo. C’è solo una lunga serie di canti struggenti e rimati presi in prestito da vecchie canzoni, fiumi di birra, punk iberico e una partita di calcio. Alla fine ti ritrovi sbronzo, sudato e felice. Senza alcuna ragione valida per esserlo.

È come una felicità immeritata, immotivata e rubata durante l’intervallo tra un Natale passato a sentirti vecchio rivedendo i luoghi in cui sei cresciuto e un martedì 7 gennaio in cui dovrai sederti alla tua scrivania del PRBB. Come dottore, per la prima volta.

Non so perché seguo l’Europa, ma so che quella felicità immeritata me la rubo volentieri ogni volta che posso.

Forza Roma, i Visca el Club Esportiu Europa.

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