(P)our (h)im a (D)rink.

E alla fine, è successo. L’Università Autonoma di Barcellona mi ha conferito il dottorato in Biologia e Biotecnologie vegetali. La mia tesi si è focalizzata su alcuni “pezzi di DNA” che hanno la capacità di muoversi all’interno del genoma. Staccarsi da un cromosoma per andare da un’altra parte, oppure fare una copia di sé stessi che si andrà a inserire a sua volta in una regione di DNA. Si chiamano trasposoni o elementi trasponibili (transposable elements), e sembra che siano in grado di dar luogo a fenotipi interessanti.

In agronomia se ne conoscono diversi. L’uva bianca, le mele senza semi, le pesche noci. Tutte caratteristiche emerse grazie al fatto che uno di questi trasposoni è saltato nel “posto sbagliato”, e ha distrutto un gene fondamentale per lo sviluppo di una certa caratteristica.

Il mio lavoro è stato in larga parte dedicato alle pesche e alle mandorle. La storia di queste due specie è carina da raccontare. Quindici milioni di anni fa quella che allora era un’isola gigante alla deriva nell’oceano, e che oggi chiamiamo India, iniziò a scontrarsi con l’Asia, provocando il sollevamento del Tibet e la formazione dell’Himalaya. Ai tempi, in tutto il sud dell’attuale Eurasia si trovavano dei piccoli alberi probabilmente già in grado di produrre delle splendide infiorescenze bianco-rosa ai primi cenni di primavera. La formazione dell’Himalaya finì con l’isolare un gruppo di questi alberi, una “popolazione”, nell’attuale regione nord-occidentale della Cina. Gli stravolgimenti geologici portarono a seri cambiamenti climatici, che indussero questi alberi ad evolvere. Nel giro di qualche milione di anni, svilupparono caratteristiche differenti rispetto a quei loro simili da cui erano stati separati, la più evidente delle quali era un frutto carnoso e commestibile. In pratica, le pesche. La sorte degli altri alberi in giro per l’Eurasia è complessa e discussa in un dibattito intricato fatto di sottospecie, specie selvatiche, varianti e via precisando. Diciamo, per comodità, che gli alberi che rimasero divennero quelle che oggi conosciamo come mandorle. Secondo alcuni studi recenti, pesche e mandorle una volta erano la stessa specie, e devono il loro differenziamento alla comparsa della catena dell’Himalaya.

Il contributo che abbiamo dato con il mio dottorato è stato quello di evidenziare che i “pezzi di DNA che saltano da una parte all’altra”, i trasposoni, si sono comportati in maniera diversa nelle due specie. In Pesca c’è stato un boom di nuovi trasposoni abbastanza importante, iniziato 5 milioni di anni fa, quando le due specie si sono separate. In mandorla questa accumulazione non c’è stata, però il genoma di mandorla conserva molti più trasposoni “antichi” che in pesca si sono invece persi, probabilmente a causa della riduzione di popolazione che ha subito quest’ultima a causa degli stravolgimenti climatici seguiti all’innalzamento del plateau tibetano. I risultati sono stati inclusi in un articolo in cui abbiamo pubblicato una versione del genoma di mandorla.

La mia borsa di dottorato si era esaurita già lo scorso aprile, ma il dottorato non lo avevo ancora finito. Questo succede praticamente sempre qui nello stato spagnolo, a parte qualche caso eccezionale, sicuramente virtuoso ma pur sempre isolato. Per fortuna ho trovato una posizione come bioinformatico all’Istituto di Biologia Evolutiva dell’Università Pompeu Fabra, sempre qui a Barcellona. Il 31 marzo scorso ho finito la borsa del CRAG, il primo aprile ero già ad installare biopython e pandas sul computer del nuovo lavoro. A parte la soddisfazione di non restare disoccupato neanche un giorno, la verità è che il nuovo laboratorio è fantastico. Lavoriamo su mammiferi con un approccio evoluzionistico fortemente basato sulla biologia dello sviluppo embrionale e noto come “evo-devo”. C’è una strana versione nerd di “Despacito” che spiega di che si tratta.

Più specificamente, il mio compito è studiare le basi genetiche di alcuni aspetti della morfologia craniale dei mamiferi e la loro evoluzione. Chiaramente c’entrano i trasposoni, altrimenti sarebbe stato complicato per me passare dalle pesche alle scimmie, per quanto mi consideri flessibile. Vedremo, intanto i primi risultati già ci sono e la cosa promette bene.

Alle pubblicazioni ci penseremo da domani, anzi, da dopodomani. Adesso il punto qui è più che altro sopravvivere al giro di cene, feste, brindisi e auguri d’ogni sorta. Fra dottorato, cene di fine anno con colleghi e amici, e feste di dottorato (una qui e una a Roma, chiaramente), rischio di rimanerci davvero secco. Speriamo bene.

Nel frattempo, mi scrollo di dosso quattro anni di treno per Sabadell, situazioni tossiche al lavoro e tutto il resto.

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