Il problema non è “chi ha ragione” #Colau #PODEMOS #Catalogna

Mi trovo spesso a litigare con chi appoggia Ada Colau e le sue scelte. Non so bene come facciano, visto il recente voltafaccia della sindaca del Guinardó, ma la coerenza interna delle convinzioni altrui non è una mia responsabilità.

Loro sostengono che spesso le alleanze sono necessarie, e il fatto che la Colau per restare sindaca abbia scelto di accettare i voti di Valls, candidato dei fondi speculativi votato nei quartieri “bene” della città, e aver condiviso il governo con i socialisti, che a loro tempo trasformarono la città in un immenso parco giochi per turisti, sia stato un passo necessario per continuare la “grande missione” della sindaca ed il suo apporto “rivoluzionario”. Una rivoluzione fatta di chiusure al traffico di qualche isolato al Poble Nou (nord della città), dichiarazione di Barcelona come città “vegan friendly”, possibilità di suonare musica dal vivo in alcuni locali del centro dove prima non era possibile farlo, e tante iniziative per combattere l’esclusione sociale. Iniziative annunciate, proclamate, raramente applicate e fallite puntualmente le poche volte in cui si è provato ad applicarle. Si, esatto: pensate a Pisapia, a Veltroni, a Vendola e a tutti quei politici di sinistra pieni di buone intenzioni, ispirati dai valori più nobili, ma che oltre l’estetica della narrazione non sono riusciti ad andare. La Colau.

Bisogna comunque essere onesti: l’area Podemos (di cui la Colau non fa parte ma a cui è molto vicina) ha apportato un contributo importante alla sinistra dello Stato Spagnolo. La loro idea resta quella di intervenire nelle istituzioni monarchiche per costruire giustizia sociale e il riconoscimento delle culture ed identità locali. Hanno una vaga vocazione repubblicana. Se glie lo chiedi sono per la Repubblica, ma alla fine non è che si ammazzino più di tanto per la cosa. Il loro punto è che la giustizia sociale si può ottenere anche mantenendo la struttura costituzionale uscita dalla transizione post-franchista e senza mettere in discussione l’Unione Europea.

Ha senso? Volendo si. Non dico di no. Alla fine le nostre società contemporanee, per come sono concepite, qualche spicciolo alla giustizia sociale in tempi di accumulazione del capitale tendono a concederlo. Il punto non è quello. Il punto è la pretesa di far passare tutto questo come “rivoluzionario”.

La struttura dello stato spagnolo presenta carateristiche che rendono molto difficile il riscatto sociale delle classi subordinate. Il problema non sta in chi governi, ma nella stessa struttura costituzionale. Sta nell’assenza di separazione tra giustizia e politica che facilita la repressione delle istanze di classe (vedi Ley Mordaza, prigionieri politici, esiliati), sta nella monarchia, sta nella strutturazione delle Comunità Autonome che comporta una distribuzione ineguale delle risorse.

Perché non siamo riformisti? Non per niente, è solo che il riformismo tende a promettere molto, a mantenere all’inizio e a tradire puntualmente. Come quei/lle partner instabili che ti trascinano in relazioni tossiche. All’inizio avanzi e conquisti diritti e spazi di libertà, poi al primo segnale di crisi perdi tutto e ti attacchi al cazzo, come dicono a Oxford.

Il governo Sanchez può fare qualcosa di buono, non lo nega nessuno. La Colau e i socialisti possono “fare cose buone”, e nessuno lo nega. Però, alla fine, il punto col riformismo resta sempre quello. E per quanto la cosa possa farmi apparire radicale, estremista ed antipatico, credo che nelle organizzazioni della sinsitra anticapitalista dovremmo cercare di capire che non possiamo dare spazio a chi sembra interessato a governare l’esistente senza animo di cambiare radicalmente le regole del gioco.

Se stai con la Colau magari non hai torto, ma la sinistra anticapitalista non è esattamente il luogo in cui dovresti essere. E chiaramente neanche in Potere al Popolo, per intenderci.

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