That agony is y(our) triumph.

Vivo all’estero da quasi cinque anni e posso definirmi, a pieno diritto, un “italiano all’estero”, che altro non è che la versone domestica e socialmente accettabile del termine immigrato. Ricordo che qualche anno fa il PD voleva istituire una giornata per le migliaia di italiane ed italiani all’estero. La proposta era della deputata italo-canadese Francesca La Marca, e prevedeva il 12 ottobre come giornata degli Italiani all’estero. Il 12 ottobre è il giorno della “scoperta” dell’America, e la deputata democratica nata a Toronto pensò bene che fosse appropriata per celebrare le lotte e i successi degli italiani e delle italiane all’estero.

Per fortuna, non se ne fece nulla. Forse la visione molto nordamericana della deputata del PD nativa di Toronto non le consentì di vedere il disagio che una data del genere avrebbe provocato agli italiani che vivono in Sudamerica, dove la data del 12 ottobre è ricordata come l’inizio degli stermini portati dagli europei nel contiente americano. Qui nello stato spagnolo avremmo festeggiato insieme all’estrema destra intenta a celebrare il 12 ottobre come il “Día de la Hispanidad”, la giornata dell’identità spagnola. Pezzi di merda.

Non se ne fece nulla, come dicevo. La proposta rimase lì appesa generando qualche polemica e sottolineando ulteriormente la pochezza e l’inadeguatezza del Partito Democratico.

Non sono sicuro che sia una buona idea quella di una giornata per noi che viviamo all’estero. Però, se proprio volete istituirne una, un paio di date ce le avrei in mente. La prima è senz’altro l’8 agosto, giornata della strage di Marcinelle. La seconda è oggi, 23 agosto, quando nel 1927 la mano del boia pose fine alla vita di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

Non abbiamo bisogno di una giornata, però, se proprio volete istituirne una, pensate di farlo per noi. Non per voi, e non per celebrare l’idea che avete di noi. Non per rimpinguare quella narrazione tossica ed assurda di “italiani brava gente”, non per coprire di fascino artificiale la condizione di emigrante. La grande maggioranza delle persone che lasciano il Paese lo fa per necessità, oggi come ai tempi di Marcinelle e allora come ai tempi di Sacco e Vanzetti. A parte il fatto che essere associati ad un assassino non ci fa per nulla piacere, la verità è che non siamo dei Colombo. Non andiamo alla conquista di nulla, non siamo dei colonizzatori. Siamo ed eravamo i poveracci della situazione, quelli che l’Italia ha rifiutato. Siamo quelli che vi fanno vergognare.

Meglio lasciarci in pace qui dove siamo, ma se proprio dovete farci una festa, allora sarebbe meglio dedicarla a qualcuno che ci somiglia di più.

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