Tocca dire ai comunisti che hanno rotto il cazzo.

Stavo pensando a come metterla e mi era venuto in mente di introdurre questo post utilizzando un paragrafo scritto come se fossimo stati nel 2009, facendo parlare in prima persona un me 24enne impegnato nella lotta a difesa dell’unviersità pubblica. All’epoca la questione per me era semplice. Le elezioni politiche del 2008 ci avevano restituito il primo parlamento senza gruppi politici che facessero direttamente riferimento al socialismo o alla tradizione comunista. Questo avrebbe marcato – secondo il mio punto di vista dell’epoca – una transizione a destra della sinistra italiana che doveva essere invertita. Il “passato glorioso” della sinistra italiana doveva essere ripristinato in qualche maniera, e decisi di rivolgere la mia attività politica dentro l’università a questa ricostruzione. Non conoscevo bene i fondamenti del marxismo, nonostante ne avessi qualche idea confusa, ma sentivo che quel passato comunista ci avrebbe salvato. Decisi di affidarmi a dei compagni e delle compagne che sembravano avere le idee più chiare delle mie, e finì per partecipare a un collettivo politico Marxista-Leninista della Sapienza chiamato Resistenza Universitaria. A loro serviva qualcuno che gli facesse il sito internet, a me qualcuno che sapesse metterci dei contenuti. Nel sito e nella mia testolina confusa. Affare fatto. Col tempo però, molte cose mi parvero limitative e mi avvicinai ad aree autonome e libertarie. Senza far più ritorno, ad essere onesti.

Il punto è che già allora un approccio marxista-leninista era difficile da integrare con le istanze, le dinamiche e i linguaggi di un movimento, quello dell’Onda Anomala, che stava inconsapevolmente aprendo la stagione di proteste che hanno attraversato Europa, Asia Centrale e Mediterraneo all’inizio degli anni ’10. Faticavamo a farci capire da chi era più giovane di noi, votava per la prima volta e ricordava ben poco dei “comunisti in parlamento”, anche di quelli “infricchettoniti” della Rifondazione bertinottiana. Faticavamo a parlare di classe operaia in un’Italia in via di forte de-industrializzazione in cui praticamente nessuno degli studenti che partecipavano alle assemblee aveva i genitori operai, e la minima idea di cosa stessimo parlando. A cominciare da noi stessi.

Alla fine, tutto era guidato dalla paura di un futuro che ci avevano descritto come oscuro e incerto. Ognuno reagiva come poteva, e noi eravamo quelli che si aggrappavano a un passato che ci avevano raccontato essere migliore del presente. E del futuro, a meno che non avessimo fatto qualcosa affinché il futuro somigliasse a quel passato glorioso e perduto. Ergo, riprendere i linguaggi e le pratiche di un tempo, rifiutare la modernità per quanto ci fosse possibile. Unione Sovietica, nemici in siberia, bandiere rosse sul Quirinale e tutto il resto. Già all’epoca non funzionava, e per quanto giovane finì per sentirmi come un cucciolo di dinosauro che guarda un meteorite schiantarsi all’orizzonte. Già all’epoca non funzionava, dicevo. Figuriamoci oggi, dieci anni dopo.

Pensate davvero che oggi i comunisti in Italia non esistano? Probabilmente avreste ragione se decidessimo di far coincidere il verbo “esistere” con l’avere un impatto politicamente rilevante. Con quell’accezione no, i comunisti non esistono più da anni. Ma se intendiamo “esistere” con “esistere”, allora la storia è diversa. Ho francamente perso il conto dei partiti comunisti. Wikipedia me ne segnala almeno cinque: Rifondazione, il Partito Comunista Italiano (PCI), erede dei Comunisti Italiani di Cossutta e Diliberto, Il Partito Comunista di Rizzo (ma la sigla non è PCR, stranamente), i vetero-trotskisti del Partito Comunista dei Lavoratori (PCL) ed il PMLI che fa semplicemente parte della parte strana dell’internet. E poi c’è Potere al Popolo, ma quella è un’altra storia. Direte, quattro matti. E invece no, perché non solo non sono proprio quattro, ma non sono neanche così “matti”. Non nel modo che ci si può attendere.

Anzitutto: sono quattro? Beh gli iscritti a Rifondazione, nel 2018, arrivavano a superare i 15.000. In termini di percentuali elettorali questo è poco o niente, una frazione di quel 2% con il quale Rifondazione si attesta nei sondaggi. Però occhio a una cosa: non parliamo di elettori, ma di attiviste ed attivisti. Ovvero di chi non si limita a votare, ma è disposto a farsi riunioni serali, accollarsi attacchinaggi, prendersi incarichi di sezione e di partito e via dicendo. Non semplici “fan” o “followers”, ma gente che la politica se la lavora. E con una certa dedizione. Altri numeri? Ebbene quel che resta dei comunisti italiani dovrebbe contare, secondo quanto affermano, circa 9000 iscritti, mentre i militanti del PC di Rizzo sarebbero 4000. Prendiamo le cifre per buone e sommiamo: 15 + 9 + 4 fa 28. Ventotto mila militanti.

Ora, provate ad immaginare 28 mila persone impegnate in tutto il territorio nazionale a portare avanti una mozione politica di sinistra in tempi di sfiducia nel liberalismo e nelle istituzioni plasmate a sua immagine e somiglianza, prima fra tutte l’Unione Europea. L’impatto sulla vita politica del Paese sarebbe difficilmente trascurabile, considerando anche che la sinistra istituzionale “fatica” (per usare un eufemismo) a toranare ad affermarsi nel suo classico elettorato; ceto medio e classe lavoratrice.

Il paradosso è che i comunisti non sono tecnicamente pochi, è che sono sistematicamente ignorati. Esistono, ma non politicamente, e a causa della loro frammentazione. Quello che credo succeda, detto in parole povere, è che le loro strutture organizzative chiuse, burocratizzate e in perenne conflitto reciproco gli impediscono di contribuire alle mobilitazioni reali e affermarsi come avanguardie, e dunque di ottenere seguito e credibilità. Farò l’esempio di Fridays for future, che è il primo movimento che mi viene in mente. Chiaramente la loro vocazione è quella di aggiungere contenuto politico e dare una direzione alle lotte spontanee che emergono. Sacrosanto e direi necessario. Dopo lo scoppio delle proteste contro i cambiamenti climatici, diverse organizzazioni comuniste hanno concordato sul fatto che il salvataggio del clima dipenda da un cambio radicale di sistema. Tanto il PCL, quanto i giovani comunisti del PCI, quanto lo stesso PC di Rizzo hanno visto la mobilitazione iniziata da Greta Thumberg con un tiepido favore. Ci piace, ma a patto che la soluzione non si limiti al solito “progressismo borghese” e contempli un’approccio rivoluzionario.

Uno può non essere d’accordo con il merito della proposta politica, ma deve riconoscere che il metodo è perfettamente legittimo. Come partito ti avvicini criticamente a un movimento, ne sottolinei limiti e potenzialità e tenti di diffondere il tuo punto di vista. Nessuna macchia. Il problema è che – se sei un partito comunista – difficilmente potrai affermarti come una guida, o anche solo una possibile soluzione. Quello che puoi offrire è il tuo protocollo d’azione, burocratizzato, obsoleto e addirittura alienante. Oggi, esattamente come dieci anni fa, i comunisti rischiano di essere quelli che ti prendono mentre protesti perché il mondo non ti piace, ti offrono un punto di vista coerente e filosoficamente ben supportato, e poi ti affogano in una serie di beghe del cazzo tra partiti, microcorrenti, clan e settarismi d’ogni tipo. Inizi che volevi salvare il clima, ti ritrovi ad elaborare strategie per metterla al culo ai trotskisti e prendere la testa del prossimo corteo. E allora, come fece qualcuno di mia conoscenza, semplicemente te ne vai e li lasci a cuocere nel loro brodo.

Ovviamente non è il solo problema. Il fatto di ostinarsi a lavorare in strutture di partito concepite per somigliare a quelle del secolo scorso è solo uno dei tanti aspetti di una politica obsoleta che si, attrae ancora molti militanti, ma non fa che dimostrarsi poco utile.

Sapere che in Italia ci sono 30 mila persone disposte a impegnarsi in politica alzando la bandiera rossa, nel 2019 del Capitano e del premier Conte, in effetti è qualcosa che da una certa speranza, al di là delle differenze politiche. Rendersi conto che i loro sforzi sono resi vani dalla frammentazione è qualcosa che fa male. Dispiace, perché i comunisti non solo non sono pochi, ma non sono neanche del tutto matti, perché nonostante il passare degli anni l’analisi marxista restituisce un’immagine fedele della realtà contemporanea e perché si, la prorità resta quella di abbattere e superare un sistema che ci sta lentamente uccidendo.

E allora, cari comunisti, forse è il momento di dirvelo con todo cariño ma con altrettanta fermezza: avete rotto il cazzo.

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