È di nuovo l’11 settembre.

Sono arrivato a Barcellona nel gennaio del 2015, e questo è dunque il mio quinto 11 settembre qui in Catalogna. La Diada de Catalunya, una strana festa nazionale per una nazione che di cose strane ne ha parecchie. Nel 1714 le truppe spagnole del re Filippo V conquistarono Barcellona, completando l’annessione della Catalogna al Regno di Spagna. L’11 settembre 1714 segna la fine dell’autonomia politica dei catalani, ma i catalani decidono di farne una festa, di riprendersi quel giorno, scendendo in piazza e rivendicando la loro autodeterminazione. Una strana festa, in cui una sconfitta storica viene celebrata, vissuta con sfrontata allegria. Rigirata contro il nemico come si faceva da bambini con gli insulti mediante lo “specchio riflette”. Tiè.

Nel 2015 me ne andavo in giro a far foto da mettere su facebook delle esteladas in giro per la città. Un’amica che viveva già da qualche anno a Barcellona finì per chiedermi: ma per quale motivo questi festeggiano l’indipendenza quando stanno ancora con la Spagna? Non aveva capito molto della festa, e come lei sembravano essere in tanti gli italiani residenti qui ad essere lontani e piuttosto freddi alle rivendicazioni catalaniste. Occorreva fare qualcosa, e qualche mese dopo io e Alessio stavamo già discutendo del nome da dare al nostro nuovo magazine online. “Burn-out come la sindrome da stress sul lavoro?”. “No, BARN da Barna, il diminutivo di Barcellona, AUT da autonomia”. Loro non capivano, noi dovevamo spiegarglielo.

Allora la Diada raccolse in piazza 1 milione 400 mila persone secondo la Guardia Urbana, la polizia municipale di Barcellona. Fu un evento impressionate e dal grande significato politico. Un paio di settimane dopo si sarebbe votato e i partiti indipendentisti lo avevano promesso: se otteniamo una maggioranza assoluta di seggi e voti dichiariamo l’indipendenza. La maggioranza di seggi gli consentì di formare un governo, ma quel 48% di voti li obbligò a tergiversare. Per diversi mesi, quasi un anno. Abbastanza da rendere la Diada del 2016 un evento meno partecipato, che trasudava soprattutto insofferenza e frustrazione: che cazzo stanno facendo al governo? Perchè ci mettono tanto con questa indipendenza? Ci volle l’annuncio del Referendum del 1 Ottobre 2017 a rendere la Diada di quell’anno un evento memorabile. Non tanto per la giornata in sé, ma perché quel lunedì inaugurò il lungo autunno del Referendum, della repressione, della proclamazione della Repubblica, degli arresti e degli esili.

L’autunno che avrebbe cambiato tutto, che avrebbe lasciato la Catalogna priva di un’intera classe politica, e la Spagna priva di un governo in piene funzioni. Per due anni, o forse più. Perché se pure queste due ultime Diades sono state segnate dal bruciore delle ferite ancora aperte del movimento catalanista, è anche vero che la mobilitazione per la Repubblica Catalana segnò il destino del governo Rajoy, e il diniego dei successivi premier incaricati a concedere un nuovo referendum con tutte le garanzie (prima fra tutte quella di non venir picchiato se ti azzardi a votare), rese impossibile la formazione di un nuovo governo. Fino ad oggi, giornata in cui è di fatto fracassato l’ultimo tentativo di formare un governo socialista ed evitare nuove elezioni.

Per fare una maggioranza servono i voti dei partiti indipendentisti. Per avere quei voti serve la concessione di un referendum sull’indipendenza. Il premier incaricato Sanchez si rifiuta. E si attacca chiaramente al cazzo. La Spagna avrà anche impredito alla Catalogna di formare una repubblica, ma l’indipendentismo catalano ha reso la Spagna ingovernabile.

Ed è in ragione di questa ostinata e pacifica resistenza che il popolo catalanista ha scelto di tornare in piazza per quest’ennesima Diada. Nell’attesa delle sentenze ai prigionieri politici, che dovrebbero arrivare a breve, in un clima di sostanziale sfiducia verso i politici, anche e soprattutto indipendentisti, ma con la tenacia di chi non vuole arrendersi.

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