Il fatto è che adesso i biscotti li abbiamo noi.

Il giorno in cui capirò che lavoro fa Steven Forti sarà forse il giorno in cui farò finalmente pace con il poliedrico mondo degli umanisti. Lui è uno storico, e da qualche anno anche uno dei principali commentatori delle vicende catalane e spagnole presso la stampa italiana. Poi però è coinvolto in eventi musicali, scrive sul Rolling Stone, un po’ fa il giornalista, un po’ ha un programma radio, un po’ organizza strani eventi di poesia a Sant Antoni, di storia ne parla ma neanche troppo. Insomma, tradotto nei grigi e sovietici termini dell’accademia scientifica: vacce a capì quarche cazzo de cosa. Per carità, massimo rispetto e come detto nessuna critica; sono io ad avere dei limiti da nerd dei computer.

Ad ogni modo, mi è venuto in mente per una recente polemica su Twitter che lo ha visto opporsi a Pau Vidal, giornalista e traduttore in lingua catalana delle opere di Andrea Camilleri. Forti è da sempre sostenitore dell’ardita tesi secondo cui gli indipendentisti catalani siano sostanzilamente dei leghisti ispirati da un nazionalismo tossico ed escludente. Non importa se la maggioranza del movimento sia collocato a sinistra, non conta che la quasi totalità dell’area antagonista catalana sia radicalmente indipendentista e non conta la chiara natura antifascista delle rivendicazioni di chi scende in piazza in queste settimane: vogliono “separare” una “regione” dal resto della Spagna, allora sono leghisti. Punto. Praticamente, uno dei principali commentatori delle vicende catalane ha la stessa analisi che potrebbe fare un tizio in un bar di Ferrara leggendo due articoli al volo mentre fa colazione. Ma visto che Forti è un accademico che vive qui a Barcellona, allora tanta superficialità stona. E visto che non ha mai nascosto una certa preferenza per Podemos e connessioni politiche con il partito di Ada Colau (unionisti di sinistra), qualcuno inizia a vedere la cosa con una certa malizia. Questo, in soldoni, spiega perché la figura di Steven Forti sia costantemente circondata da un certo alone di polemica e rende chiare le ragioni di quest’ultimo confronto con Pau Vidal, riassunte in questo thread. Ma c’è dell’altro, e ne parlo in questo tweet:

https://twitter.com/staylinus/status/1198898279272067074

Ultimamente agli unionisti di sinistra dice davvero male. Il tweet è un po’ iperbolico, ma rende l’idea. Le ultime evoluzioni della vicenda catalana sono state accompagnate da un netto riposizionamento dell’opinione pubblica in favore delle ragioni del movimento e del diritto all’autodeterminazione del popolo catalano. La cosa è paradossale, perché fino a l’altro ieri eravamo noi, quelli che sostenevano l’importanza della lotta catalanista, a dover sudare di fronte ad un “pubblico difficile”. Della lotta si sapeva poco, si capiva ancora meno e non si giustificava praticamente nulla. Dopo il 1 Ottobre, le cose hanno cominciato a cambiare. Con le sentenze, l’autoritarismo dello stato spagnolo è diventato palese. Avevamo ragione? Sarebbe facile iniziare a gongolare, ma le cose facili non ci appassionano, e dire che le cose sono cambiate perché la gente “ha finalmente capito” rischia di essere riduttivo e pericolosamente naive.

Chissà se Forti e gli altri sostenitori italiani di Podemos si sono mai resi conto di star raccontando una storia che, alle orecchie del progressismo italiano, suonava come meravigliosa. La nascita di podemos era, per la sinistra italiana, la realizzazione di un sogno. Un movimento orizzontale che blocca le piazze di tutto il Paese, che si struttura in un partito di sinistra in grado di cambiare gli equilibri politici. Il passaggio da movimento degli indignados a Podemos era quella cavalcata trionfale che la sinistra italiana del tardo berlusconismo sognava ad occhi aperti. La possibilità di ricostruire la sinistra dal basso, scalzare quei leader ammuffiti e rifare tutto da capo. Tutto migliore. Un sogno. Un sogno che i vari commentatori dallo stato spagnolo hanno raccontato per anni, probabilmente gratificati da un pubblico in visibilio, e forse non consci del fatto che questo pubblico li avrebbe presto traditi.

Eh già, perché il progressismo italiano è un animale stupido e bulimico, un mostro divoratore di narrazioni (soprattutto estere) di cui però si stufa in fretta. All’inizio del decennio che si sta per chiudere, la fine del bipolarismo in vista ispirava l’idea di poter cavalcare la destrutturazione politica e far nascere “qualcosa di nuovo”. In Spagna stava succedendo. Nel “Paese” già innalzato a modello della sinstra ai tempi di Zapatero, quel Podemos che stava nascendo fece presto a divenire una “speranza della sinistra”. Come ben sappiamo, nel linguaggio del mostro bulimico di cui sopra, il concetto di “speranza” è assimilabile a quello di giocattolo con cui sollazzarsi finché non ci si stufa. Il percorso politico di Podemos è stato ed è un percorso reale, controverso e difficile come altro non poteva essere nell’Europa dell’austerity. Nel tempo ha iniziato a governare città, ad ispirare il municipalismo di Barcellona e Madrid, a fare errori, a cadere e rialzarsi. È uscito dall’iperurania dei proclami ed è divenuto cosa vera, di tutti i giorni. A quel punto il mostro si è stancato del giocattolo e ha deciso di abbandonarlo poco a poco, per rivolgere la propria attenzione a nuove narrazioni da divorare, nel triste tentativo di riempire quel vuoto interiore di inconsistenza politica che lo attanaglia da anni.

E a quel punto arrivano le sentenze dei prigionieri politici, la rivolta catalana e tutto il resto. Il mostro ormai non cerca più di rompere uno schema bipolare perché quello schema in Italia non esiste più, e a romperlo è stato Grillo con i suoi Cinque Stelle. Oggi tocca resistere all’ondata sovranista delle nuove destre. Resistere al populismo. In questo, la frustrazione più grande è il sapere che i suoi nemici di sempre hanno la capacità di parlare alle classi popolari mentre il progressismo è ridotto a fenomeno di elite. Ci vorrebbe qualcuno che parlasse di ripresa del controllo democratico senza passare per il nazionalismo e la xenofobia. Essere popolare ma in senso democratico. Si comincia a pensare ad un modo progressista ed internazionalista per opporsi alla gabbia dell’Unione Europea. Ad un europeismo conflittuale in grado di tornare alle radici del pensiero di Spinelli. Un sovranismo, ma di sinistra ed europeista. Ed ecco che il mostro, goffo, lento e diffidente, si avvicina. Si avvicina alla rivolta catalana e prova a capirne le ragioni. Sperando di poterci trovare una nuova “speranza”.

Steven Forti mi ha bloccato al mio primo commento ad un suo articolo. Un commento che prometto esser stato educato e costruttivo per quanto in disaccordo. Fa così con chiunque lo critichi, e la cosa non facilita di certo lo scambio. In molti casi la conflittualità potrebbe essere ridotta da un comune sforzo a non trascendere, in altri potremmo addirittura trovare sinergie inattese. E forse questo è uno di questi. Non sono un professionista dell’informazione ma capisco bene quanto conti ottenere l’approvazione del pubblico. La gente ti apprezza se fai un buon articolo, ma ti apprezza ancora di più se gli dai “buone notizie”, ovvero se gli dici quello che vuole sentirsi dire. E per quanto la tentazione sia forte, dobbiamo evitare di farlo, tanto noi blogger occasionali quanto (e soprattutto) i giornalisti professionisti. Perché così non facciamo che alimentare il mostro.

La mia critica verso Forti e gli altri commentatori vicini all’area Podemos è sempre stata quella di aver ceduto alla tentazione di raccontare la storia che in Italia volevano sentirsi dire. Di aver smesso di parlare delle esperienze politiche seguite al movimento degli indignados con obiettività e rigore analitico, al fine di vendere una narrazione che potesse essere più appetibile per il progressismo italiano. In questo, hanno praticamente tagliato con l’accetta tutte le sfumature e tutta la complessità di un’esperienza che rimane comunque interessante nonostante i suoi limiti, ossessionati dall’idea di poterla rendere commercializzabile. Così, le storie su Pablo Iglesias, Manuela Carmena e Ada Colau sono state confezionate come tanti piccoli treats, biscottini con i quali intrattenere il mostro. Ora il loro problema è che Podemos è in discesa, Ada Colau in crisi e Manuela Carmena non è più sindaca di Madrid. I biscotti sono finiti e il mostro comincia a cercarli altrove.

Adesso i biscotti li abbiamo noi, dove per “noi” si intende quelle e quelli che si schierano dalla parte della lotta catalanista. Il mostro sembra interessato, ma mangiucchia con qualche reticenza. Mi sa che i biscotti della concorrenza gli piacevano di più. Oggi sta a noi la scelta. Possiamo decidere di comportarci come “i fan di Podemos” e trasformarci in eccellenti narratori di un qualcosa che non esiste, oppure possiamo percorrere la via più sterrata, ovvero quella di un’analisi obiettiva e spietata, totalmente scevra di interpretazioni eccessivamente ottimistiche, ma fedele a quanto sta accadendo veramente.

Con Forti e gli altri, nonostante le polemiche e le ruggini accumulate, potremmo trovare un punto di comune interesse ed iniziare una collaborazione decisamente proficua. E questo punto è proprio l’idea di mettere a dieta il mostro progressista una volta per tutte. La sinistra italiana si crogiola nel suo eccezionalismo, si permette di giudicare il resto del mondo dalla propria torre d’avorio, ma è abbastanza insicura da cercare ovunque delle conferme. E allora brama l’idea che quanto succeda nel mondo somigli a quello che si aspetti che succeda, vuole sentirselo raccontare e paga affinché l’informazione le fornisca le narrazioni che vuole ascoltare. Ma quello di cui abbiamo bisogno è distruggere la torre d’avorio e far scendere giù il progressismo italiano, mettendolo coi piedi su quella terra che ha smesso di capire da anni.

Per farlo, dovremmo smettere di idolatrare ed idealizzare questo o quel percorso politico, smettere di vendere modelli e speranze a chi vuole crogiolarsi nei suoi pregiudizi, e iniziare a fornire strumenti a chi vuole comprendere la complessità del mondo che lo circonda. Dovremmo smetterla di dare biscottini al mostro, prima che quello ingrassi fino a scoppiare. Perché poi dovremmo raccogliere i suoi pezzi in giro, tra l’immondizia del neoliberismo e i topi di fogna che scorrazzano liberi.

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2 Responses to Il fatto è che adesso i biscotti li abbiamo noi.

  1. linudz says:

    Grazie per il commento, Renzo. Diciamo che l’esigenza dovrebbe essere anzitutto quella di ottenere un’immagine fedele di quanto sta accadendo, delle motivazioni del movimento, delle sue prospettive, della sua componente ideologica e razionale quanto di quella sentimentale. Capire prima di giudicare, sarebbe già qualcosa. Un primo passo può essere senz’altro quello che dici tu, chiedersi semplicemente se tanta repressione da parte della Spagna non sia motivata dalla paura, e tanta paura motivata dal fatto che questa mobilitazione rischia di mettere in discussione equilibri di potere importanti. Ci arriveremo. Magari un passo alla volta, ma spero che ci arriveremo.

  2. renzo granzotto says:

    E’ stato un piacere leggere l’articolo.
    La potenza messa in moto per contrastare il movimento indipendentista Catalano dovrebbe far scattare l’attenzione di tutti quelli che hanno a cuore la democrazia e l’incontro fra popoli.

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